Tra qualche anno li rivedremo
a "Blob" - e speriamo di poterlo fare divertendoci con
gusto satirico - questi incredibili spot sul referendum che hanno
aggiunto una pennellata di assurdo al quadro confuso della campagna
che si conslude in queste ore di vigilia del voto del 25 e 26
giugno. Abbiamo visto gli inserti incomprensibili e ipertecnicisti
della Rai e quelli taroccati e demagogici di Mediaset. Dagli uni
e dagli altri si ricava un mesaggio falsato che oscura la gravità
del pasticciato compromesso tra secessione e ipercentralismo che
caratterizza il testo scritto in una baita di montagna da quattro
"saggi" tra cui spicca l'ex ministro Calderoli e approvato
in Parlamento in extremis dalla passata maggioranza.
Una troppo felbile e tardiva protesta non è riuscita a
ottenere se non negli ultimi giorni che l'informazione di base
fosse riportata a un minimo di correttezza. E il risultato delle
urne dirà quanto l'anomalia televisiva italiana avrà
pesato ancora una volta su un appuntamento decisivo per la democrazia.
Il primo tema caduto sotto il maglio della disinformazione è
proprio questo: il valore cruciale di una modifica della carta
fondamentale su cui si regge da sessanta anni la nostra convivenza.
E' stato un testimonial del "No" di tutto rispetto come
Carlo Azeglio Ciampi a indicare la chiave giusta nell'annunciare
la propria intenzione di voto. "Non ho difficoltà
a dire - ha detto venerdì scorso - che andrò a votare
per il referendum e voterò No, convinto come sono della
validità dell'equilibrio e dell'impianto di fondo della
nostra Costituzione".
I 53 articoli stravolti dai dilettanteschi "saggi" del
centrodestra mettono in crisi, per l'appunto, come dice Ciampi,
"l'equilibrio e l'impianto" di quel documento. Ma partendo
dall'illustrazione del nuovo testo, spezzettato scheda per scheda
come è accaduto nelle trasmissioni televisive di queste
settimane, si riduce la questione a un ingegneristico pastrocchio
di norme difficili da capire. Sulle quali si suggerisce all'elettorato
una sorta di qualunquistica equivalenza, con la differenza di
una presunta "innovazione" contenuta nella riforma.
non è un caso se - in assenza di argomenti che possano
sotenere senza rossori di vergogna la bontà delle norme
sulla devolution - la destra abbia puntato amartellare l'opinione
pubblica sul tasto (falso) della risuzione dei parlamentari e
sul presunto "snellimento" che ne deriverebbe.
Invece, questa riforma è costosissima: mentre il buco di
bialncio lasciato dal governo Berlusconi e dalle fantasie contabili
di Giulio Tremonti lascia presagire la necessità di futuri
sacrifici, già si parla di centodieci miliardi di euro
di surplus di spese che verrebbero indotte dalla duplicazione
delle procedure "devolute" alle regioni e nel frattempo
contemporaneamente intestate allo stato centralistico.
E si parla di una macchina statuale destinata a una paralisi grave
e senza precedenti: con la follia dell'introduzione di almeno
tre possibili procedure di legislazione (ma anche sette in casi
estremi); con la caotica duplicazione degli apparati; con l'attribuzione
alle regioni di competenze esclusive su materie essenziali come
la scuola, la sanità, la polizia amministrativa. Non è
un caso se nei dibattititv gli strepiti dei paladini del Sì
abbiano cercato di coprire alcuni esempi istruttivi degli effetti
devastanti dello spezzatino cui verrebbero sottoposti (da subito9
sopratutto il sistema sanitario e quello scolastico. Le porte
che alcune regioni potrebbero sbarrare ai malati provenineti dall'esterno
dei propri confini. L'impossibilità per il sistema formativo
così riformato attraverso programmi di studiodifferenziati
in Calabria e a Torino, di assicurare un rapporto con il mercato
del alvoro nell'era delle flessibilità e della mobilità
territoriale. L'iniquità di una concezione iperliberista
che antepone interessi privati ed egoistici al bene comune e aumenta
le disparità territoriali e sociali.
Nella sua rozzessa è stato Umberto Bossi a ricordare quale
sia la posta. Per la Lega questa riforma è l'anticamera
dela secessione, e se non passasse il Sì, il leader leghista
ricatta pubblicamente i suoi alleati prospettando il trasferimento
della partita su "strade" non democratiche. Il compromesso
scadente e raffazzonato che è derivato da questo brutale
pressing non poteva non produrre un testo pasticciato e per larga
parte inapplicabile. E una "riforma" concepita nel chiuso
della conventicola della maggioranza non poteva non contraddire
l'idea di una "Costituzione di tutti", su cui si basa
qualunque patto costituzionale. L'hanno scritta tra loro, perchè
doveva decretare il trionfo di un'idea chiusa dell'esercizio del
potere, fondato sull'autosufficienza e sull'obbedienza plebiscitaria
dei cittadini-spettatori.
Su questo, sì, c'è un accordo tra Cdl e Lega. E
ne è venuto fuori il terremoto di quell'"equilibrio
di fondo" che Ciampi ha richiamato. Un premier pigliatutto
che scioglie, se vuole, un Parlamento a lui sgradito, nomina e
revoca ministri, usa come appendipanni (definizione di Oscar Luigi
Scalfaro) il presidente della Repubblica, maltratta la Corte Costituzionale
e riduce l'autonomia dei magistrati.
Vogliamo dire che una Costituzione piegata a una logica di parte
è il contrario di una storia democratica come la nostra,
fondata sul pluralismo. Ma anche il contrario di una strada credibile
per il futuro. E senza pasticci è possibile ipotizzare,
come ha fatto Giorgio Napolitano, che si possa tornare in Parlamento
- dopo il referendum - per condividere scelte appropriate e apportare
modifiche sensate e riformatrici. Noi, aggiungiamo che la vittoria
del No è lo strumento per tenere apeerta questa possibilità:
premierebbe una concezione della politica che valorizza la partecipazione
contro le deleghe in bianco, l'equità e i diritti contro
le chiusure e le discriminazioni.
Il fascino della scorciatotia populistica, però, può
fare presa, specie dopo un'intossicazione durata tanti anni. Ciò
spiega l'estrema incertezza di sondaggi e pronostici. La posta
in palio, per tutti questi motivi, è grossa e impegnativa.
Bisogna fino all'ultimo minuto spiegarlo, con pazienza e attenzione.
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