Gli elettori saranno più
di 47 milioni. Ma sul fatto che si tratti di un dato teorico,
nessuno ha dubbi. Il referendum sul federalismo di domenica e
lunedì prossimi continua ad essere insidiato dall'ombra
di un astensionismo che potrebbe superare quello sulla fecondazione
assistita del 2005. Allora, andò alle urne un quarto dell'elettorato.
Stavolta, l'incognita è, se possibile, maggiore. E il tentativo
di Silvio Berlusconi e della Lega di politicizzarlo, di <<dare
una lezione alla sinistra del "no">>, appare più
un atto dovuto che la prova di convinzioni profonde. La prima
pagina della Padania ha inneggiato alla vittoria dei "fratelli
catalani" che hanno approvato l'autonomismo in Spagna. Ma
a complicare la campagna dei "sì" sembra proprio
l'ipoteca del partito di Umberto Bossi sulla riforma costituzionale.
L'appello fatto ieri dal capo dell'opposizione non gronda ottimismo,
ma preoccupazione. Berlusconi usa la pedagogia della paura per
mobilitare un fronte moderato che pure dopo le elzioni del 10
aprile si è dimostrato poco reattivo a questo tipo di appelli.
<<Poi non ci si potrà lamentare che le cose non funzionano,
se si è andati al mare e non a votare per il "sì">>,
avverte il Cavaliere.
L'ex premier capta una stanchezza
diffusa dopo "troppe campagne elettorali", e teme il
non voto. Il suo ha l'aria di un rimbrotto preventivo: una recriminazione
col sapore dell'autodifesa, di fronte ad un risultato negativo.
E non soltanto perchè l'esortazionea impartire una "lezione
alla sinistra" potrebbe rivelarsi un boomerang: il vero cruccio
berlusconiano è la diaspora del centrodestra. Ormai, nessuno
si sente di escludere che una bocciaturadel federalismo voluto
dalla Lega, acceleri la strategia delle "mani libere"
di Bossi. I segnali preferendari sono stati confusi ma indicativi.
si è andati dall'ipotesi di una trttativa separata dei
lumbard con l'Unione, alle minacce di un rigurgito secessionista.
Risposte decise comunque in solitudine; e dunque tali da creare
reazione a catena, che potrebbero acuire la crisi di una Casa
delle libertà disorientata dalla sconfitta di aprile.
Certo, l'ipotesi che dalle urne
possa spuntare una sorpresa non va scartata a priori. La campagna
contro il governo vede allineati tutti i partiti del centrodestra,
Lega in testa. E romano Prodi mette le mani avanti, spiegando
che il referendum non può essere considerato "una
rivincita" nei confronti del suo Esecutivo; e che gli italiani
"non sono stati bene informati sui costi reali della riforma".
L'impressione, tuttavia, è che nonostante gli sforzi dei
due schieramenti, la scadenza di domenica e lunedì sia
seguita con disincanto, se non con disinteresse; e che i toni
esagerati di alcuni fautori del "sì" e del "no"
vengano accolti con freddezza: come se si trattasse di qualcosa
che mobilita sopratutto la classe dirigente. La vera insidia referendaria
può rivelarsi questa: che non essendo necessario un quorum,
a decidere la sorte della Costituzione finisca per essere una
minoranza. Nel 2001, al primo referendum confermativo, votò
il 34 per cento. Ma già bissare quella percentuale, si
dice adesso, sarebbe un miracolo di partecipazione.
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