All'origine di ogni evoluzione
politica democratica ci sono sì leader, interessi convergenti,
opportunità concrete, individui e gruppi sociali ma c'è,
soprattutto, un atto di generosità. Uno slancio ideale
capace di cogliere le ragioni e i sentimenti della comunità,
prima di quelli dei singoli e degli apparati. Non c'è astuzia,
non c'è machiavello di corridoio che prevalgano sulla generosità.
Il partito repubblicano americano vive ancor oggi del manto morale
di Lincoln, che emancipa i neri, a prezzo di regalare il Sud ai
democratici per un secolo. I democratici vantano il blasone dei
nuovi diritti, conquistato — con gravissimo handicap elettorale
— da Kennedy e Johnson.
È questo lievito ideale che manca finora nella tormentata
genesi del partito democratico italiano, di cui il premier Prodi
ha ricordato la gestazione durata ormai oltre dieci anni. Il leader
della Margherita Rutelli e il segretario dei Ds Fassino sono sostenitori
della svolta, come i dioscuri ds D'Alema e Veltroni e la Bonino.
Non mancano entusiasmi, talvolta frivoli, nei media, tra intellettuali
e imprenditori. Chi però ha davvero a cuore la nascita
del partito democratico, per contribuire alla stabilità
del sistema politico e alla chiusura dell'anomalia Italia dopo
fascismo e Guerra Fredda, non può che notare come una fretta
scriteriata, o una troppo lunga marcia, mineranno il progetto.
Nelle scettiche conversazioni romane le resistenze si spiegano
con la paura degli apparati davanti al dimezzarsi delle poltrone.
Se queste meschinità bastassero, vorrebbe dire che la fusione
è un bluff. Il moto collettivo, capace di potare gli egoismi,
è sperimentato nella nuova politica, che nel mondo occidentale
tenta di trascendere la divisione destra-sinistra seguita alla
Rivoluzione francese. Qui la formazione sognata da Prodi muoverà
i primi passi.
La cancelliera democristiana tedesca Merkel, con la sua politica
sociale ed internazionale, e la candidata socialista francese
Royal con il manifesto per una sinistra capace di coniugare economia
e giustizia, si avventurano lungo questa frontiera. Un partito
dove confluiscono culture della prima repubblica, Dc, Psi, Pci,
liberali, radicali e nuova sinistra può seguire le due
primedonne europee, senza mostruosità da Frankenstein assemblato
con vecchie anatomie. L'era globale sfuma gli ancestrali tabù
di Dc, socialisti e comunisti, mentre bioetica e identità
culturali, religiose, etniche o di genere animano destre e sinistre.
Che sotto la nuova grande tenda convivano filosofie diverse, cattolici
e laici, liberisti e teorici del welfare, significa che siamo
nel XXI secolo.
Quanto alla sinistra massimalista, incalzata dalla forza riformista
unita, dovrà affrontare il dilemma rinviato dal 1989, lavorare
nel futuro o vivere di passato, cedendo il passo alle minoranze
interne al partito democratico? Il maggiore contributo di Prodi
al varo dei «democratici» è governare bene,
azzittendo la cacofonia dei personalismi petulanti e dando sostanza
alla ricetta sviluppo-rigore di Draghi e Padoa-Schioppa. Rutelli
e Fassino affrontano la prova politica decisiva della loro vita:
in particolare il leader ds, ferito dalla scissione di Rifondazione
che tanti lutti ha portato alla sinistra, deve non perdere nessuno
dei suoi al guado unitario, intravisto, in anni ingrati, dal presidente
Napolitano. Fassino e Rutelli ricordino la saga delle due mamme
che si contendono il bambino davanti a re Salomone. Il saggio
monarca (altri tempi quelli!) minaccia di lacerare in due il poppante
con la spada, ed è la madre vera che rinuncia al figlio,
venendo così riconosciuta. Quando la storia arriva alle
scelte drammatiche, la generosità è insieme la strategia
più nobile e la più efficace.
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