Ci sono partiti che nascono nel
fuoco delle lotte sociali, a caldo. E partiti che nascono dalle
ricombinazioni della classe politica, a freddo. Il Partito democratico
della sinistra riformista rischia di nascere in questo secondo
modo.
Che sia un´idea valida, ormai, non c´è dubbio.
Da circa quindici anni i grandi partiti del centro e della sinistra
sono alla ricerca di identità nuove, finora eluse con "loghi"
botanici: Quercia, Margherita, Rosa... Il solo albero che ha attecchito
è l´Ulivo. Ma perché diventi un partito bisogna
superare seri ostacoli e realizzare importanti condizioni.
Perché sia un evento storico, e non una semplice incollatura
di pezzi, il primo ostacolo da superare è la deprimente
litigiosità e rivalità di troppi attori sulla scena.
Più che di un partito, sembra talvolta che essi si stiano
impegnando nella formazione di una direzione del nuovo partito.
Intendiamoci: la rivalità è fermento organico della
competizione politica: a patto però che siano riconoscibili
i suoi fondamenti politici, appartenenze culturali, proposte progettuali.
Altrimenti essa si riduce alla categoria squallida del "tifo";
e precipita nella chiacchiera del pollaio televisivo. Il secondo
ostacolo è la chiusura della classe politica alla società.
La sciagurata riforma elettorale, condannata da tutti a sinistra,
è stata però avidamente sfruttata da élite
politiche che ne hanno approfittato per arroccarsi in oligarchie
preferenziali, come ha ben detto Mario Pirani, per nominare a
tavolino deputati e senatori.
È evidente che fino a quando queste caratteristiche di
conflittualità pettegola e di blindatura autocratica persisteranno
sarà poco credibile parlare di un grande e nuovo partito
popolare.
Veniamo alle condizioni positive da creare. L´identità,
anzitutto. Non parlo del "logo", ma del riferimento
alla memoria e al progetto. La memoria: certi tifosi del Partito
democratico pensano che il parlarne sia una perdita di tempo,
peggio, un esercizio suscitatore di dispute divise e ritardanti.
Vorrebbero rovesciare tutto e subito in un secchio, nel modo che
in inglese si chiama muddling through. Stiamo attenti: le "ammucchiate"
di questo tipo (unificazione socialista, Cosa due) sono clamorosamente
fallite. Non si tratta di aprire seminari sulla storia della sinistra:
ma, poiché il Partito democratico dovrebbe nascere da correnti
storiche pesanti della sinistra italiana (comunista, socialista,
cristiana, laica), di chiarire ciò che di queste eredità
si intende accogliere, e ciò che non si vuole far passare
attraverso il setaccio. Non c´è bisogno di seminari:
ma di riconoscere nel passato le radici del futuro. Il nuovismo
sprezzante è segno di una leggerezza davvero insostenibile.
Fonda un partito che pretende di essere senza pregiudizi e che
è soltanto sans papiers.
E veniamo al futuro, ciò che il partito sarà. Qui
due tentazioni dovrebbero essere decisamente respinte. Quella,
coltivata a suo tempo come felice anomalia italiana, del superamento
della socialdemocrazia in un intruglio catto-comunista; che ha
privato l´Italia, sola in Europa, di un grande partito socialista.
E l´altra, simmetrica a questa, di rimuovere l´eredità
socialista in un neoliberismo debole, che sbiadisca il riformismo
in un moderatismo subalterno al "pensiero unico". Un
partito riformista deve rendere chiara la sua posizione sul problema
centrale delle società capitalistiche avanzate: che è
il rapporto tra l´economia di mercato e la politica democratica.
Bisogna capire se il nuovo partito si collocherà nel campo
di coloro che accettano l´egemonia del mercato, ingegnandosi
a ripararne qua e là i danni sociali. O se intende contribuire
a definire, in Italia e in Europa, un nuovo compromesso con il
nuovo capitalismo, che ristabilisca l´egemonia della politica
sull´economia. Che non significa affatto un ritorno allo
statalismo, ma la costruzione di una società del benessere
più articolata nei suoi sistemi: quello di un mercato retto
da regole che ne garantiscano la trasparenza e la concorrenza;
di un governo che fornisca i servizi pubblici con una amministrazione
programmatica e informatica; di un welfare che produca beni sociali
attraverso la cooperazione del governo nazionale, dei governi
regionali e dell´autogoverno dei cittadini organizzati in
forme associative.
C´è poi il problema ineludibile della collocazione
del nuovo partito tra le forze politiche europee. Dimmi con chi
vai e ti dirò chi sei. Nel Parlamento europeo esistono
due forze politiche fondamentali. Una è quella ex democristiana:
dico ex, perché sempre più va assumendo gli orientamenti
e i comportamenti di una formazione liberista economicamente e
conservatrice politicamente. È quella cui appartiene il
partito di Berlusconi. Non credo che ci sia qualcuno che proporrebbe
questa collocazione. L´altra è quella "socialista",
che raggruppa anche forze laiche, cristiane, ambientaliste, inscritte
in un ambito più vasto di quello della socialdemocrazia
tradizionale. Personalmente resto, come più volte ho apertamente
affermato, critico rispetto alla sua capacità attuale di
promuovere un progetto riformistico concreto per l´Europa.
Essa è tuttavia la sola realtà che può aprirsi,
in un´alleanza con le minoranze liberali e ambientaliste,
alla formazione di una nuova forza riformista animatrice di una
sinistra schiettamente europea. La pretesa del Partito democratico
di rappresentare già da ora quella forza più ampia,
costituendosi nel Parlamento europeo in un isolamento non splendido,
e magari invitando gli altri a aderire, mi parrebbe ridicola e
presuntuosa. Penso che il nuovo partito dovrebbe essere un fattore
attivo di trasformazione e non di divisione della sinistra riformista
europea. E che in tal senso debba interpretare la sua adesione
al gruppo socialista del Parlamento europeo.
C´è infine il problema dei modi della costruzione
del nuovo partito. Su questo punto decisivo Fassino ha avanzato
una proposta che a me sembra fondamentale in senso proprio: l´elezione
dei dirigenti con il metodo delle primarie. Se su questa proposta
prevalesse la resistenza di apparati e di candidati precostituiti
dall´establishment, il nuovo partito nascerebbe non come
una forma, ma come una formula politica. Piuttosto che prenotare
i posti, bisogna estendere il metodo delle primarie dalla sola
nomina dei dirigenti alle grandi opzioni politiche, ponendole
in pubblica discussione al di fuori dei recinti dei partiti e
sottoponendole alla votazione di assemblee costituenti.
Stati generali, li chiamammo una volta, quando ci illudevamo su
una trasfigurazione dei Democratici di sinistra in una vera sinistra
democratica e socialista. Ma lasciamo perdere i nomi e badiamo
alle cose. Attraverso una definizione chiara della sua identità
(chi sarà), della sua collocazione (dove starà),
della sua formazione (come nascerà) il nuovo Partito democratico
sarà un partito nuovo.
|