Al di là del significato
formale del primo incontro del nuovo capo dello Stato con il Consiglio
superiore della magistratura, da lui presieduto per dettato costituzionale,
l’intervento svolto ieri dal presidente Giorgio Napolitano
a Palazzo dei Marescialli non è apparso affatto rituale,
pur nelle movenze brevi di un indirizzo di saluto. Vi sono presenti,
infatti, tutti i contenuti più importanti che ci si poteva
augurare venissero ripresi all’inizio del nuovo settennato,
sulla scorta di un rapporto di stretta e dichiarata continuità
con la gestione del presidente Carlo Azeglio Ciampi. Già
in questa luce, per l’appunto, si era collocato - fin dal
suo primo discorso alle Camere riunite - il riconoscimento rivolto
da Napolitano al Csm quale «espressione e presidio dell’autonomia
e della indipendenza» dell’ordine giudiziario «da
ogni altro potere». E, in analogo contesto, si è
collocato ieri anche l’impegno a essere «fermo difensore»
del ruolo «essenziale per il corretto equilibrio istituzionale»
attribuito dalla Costituzione al medesimo Consiglio superiore.
È dunque questa la cornice nella quale si devono inquadrare
anche gli altri riferimenti e gli altri auspici fatti propri dal
capo dello Stato, a cominciare dall’appello verso il superamento
delle «tensioni tra politica e giustizia», inevitabilmente
destinate a turbare il sereno svolgimento della funzione costituzionale
attribuita alla magistratura.
A questo appello si riallaccia il richiamo all’esigenza
di tenere sempre «aperte le porte al dialogo»: sia
nei rapporti con gli altri operatori dell’ambiente giudiziario
(anzitutto con l’avvocatura, in quanto posta a presidio
dell’«inviolabile» diritto di difesa) sia nei
rapporti tra le varie forze politiche, alla ricerca di soluzioni
il più possibili «condivise» sui problemi maggiormente
rilevanti dell’amministrazione della giustizia. E, tuttavia,
resta fondamentale - come ha ricordato anche il vicepresidente
Virginio Rognoni - che l’imprescindibile compito di controllo
della legalità svolto dalla magistratura non venga guardato
con insofferenza da certi settori del mondo politico, dovendosi
in ogni caso evitare che la dignità dei magistrati «venga
ingiustificatamente ferita da gratuite forme di delegittimazione»:
come è accaduto troppo spesso in un recente passato, anche
da sedi istituzionali.
Passando alle prospettive da coltivarsi per restituire la necessaria
funzionalità all’intero sistema della giustizia,
che costituisce un «essenziale servizio pubblico»
a tutela dei cittadini, Napolitano ha fornito due significative
indicazioni: l’una di metodo, l’altra di merito.Quanto
al metodo, è stata ribadita l’importanza di un rapporto
di «leale collaborazione» del Csm con il ministro
della Giustizia, sia sul versante dell’organizzazione degli
uffici giudiziari e delle loro risorse (ma anche in tema di tempestività
delle nomine alle funzioni direttive) sia sul versante della cooperazione
legislativa (con esplicita sottolineatura del potere del Csm di
dare pareri e di formulare proposte al ministro Guardasigilli).
Quanto al merito, l’accento del presidente Napolitano non
poteva non cadere sul problema obiettivamente «più
grave» della giustizia nel nostro sistema, rappresentata
dalla eccessiva durata dei processi.
Un problema colpevolmente ignorato nella scorsa legislatura, del
quale dovrà occuparsi a fondo il ministro Clemente Mastella:
non solo modificando o rimuovendo le leggi poste all’origine
delle maggiori disfunzioni, ma anche cominciando a operare tanti
piccoli interventi settoriali, mirati al recupero dell’efficienza
processuale. Senonché, prima ancora, come ha riconosciuto
ieri lo stesso Mastella, sarà essenziale restituire ai
magistrati serena fiducia e piena consapevolezza del proprio ruolo.
In particolare, attraverso un meditato intervento legislativo
volto a sospendere quanto prima l’entrata in vigore di alcuni
dei più preoccupanti decreti di attuazione della riforma
dell’ordinamento giudiziario, voluta un anno fa dall’allora
ministro Roberto Castelli.
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